Autunno e inverno, tempo di cachi: il tradizionale
Loto di Romagna a polpa morbida e il Rojo Brillante a polpa soda (altrimenti noto con il nome comune di “caco-mela”) stanno raggiungendo in queste settimane le tavole dei consumatori italiani ed europei.
La campagna 2020, complici le gelate primaverili e la cascola dei frutti che ha caratterizzato il mese di settembre (fenomeno tutt’altro che inusuale) ha visto
una contrazione delle produzioni che varia dal 20% al 30% in base ai diversi areali.
Una pianta non troppo esigente
Diversi produttori che utilizzano
QdC® – Quaderno di Campagna® per tenere traccia delle proprie produzioni, dipingono il caco come
una pianta non troppo esigente in termini di trattamenti ma che, tuttavia, si trova a dover combattere con
alcune avversità fitosanitarie ricorrenti. Oltre all’ormai ben nota
cimice asiatica che, pure senza numeri da capogiro come con altre colture, colpisce anche i cachi, i problemi maggiori provengono da alcune cocciniglie, fra cui la
Saissetia oleae (cocciniglia mezzo grano di pepe),
Mytilococcus conchyformis (cocciniglia a virgola del cachi),
Pseudococcus obscurus (cotonello del cachi) e
Synanthedon tipuliformis (Sesia del cachi). Sul fronte delle avversità fungine si evidenziano
Phomopsis, Armillaria mellea e
Rosellinia necatrix.
Produzione stabile nel tempo
Quella dei cachi è una produzione pressoché stabile nel tempo in Italia: nel 2018, secondo i dati Istat, erano dedicati al caratteristico frutto arancione
2.704 ettari per un volume di prodotto di 497.165 quintali, cifre non molto distanti dai dati rilevati 8 anni prima, quando si registravano rispettivamente 2.583 ettari e 518.896 quintali. A cambiare, soprattutto, sono le varietà coltivate:
il Rojo Brillante, infatti, risulta
in costante crescita a fronte di un interesse crescente da parte dei consumatori più giovani e di una finestra commerciale più ampia, soprattutto per le coltivazioni nel Sud Italia che possono garantire prodotto fino alla prima metà di gennaio. Fra i territori di produzione il podio spetta alla
Campania, dove si concentrano circa il 50% di tutti i cachi italiani, seguita dall’Emilia Romagna con il 38%, dalla Sicilia, Veneto, Marche e, in tempi recenti, anche dalla Calabria.
Dove vanno i nostri cachi?
Per il
caco tipo a polpa morbida la destinazione d’elezione rimane il nostro Paese:
circa il 90% del volume raccolto viene venduto in Italia mentre il restante 10% raggiunge mercati esteri molto vicini (Svizzera, Austria, Germania) dove è molto apprezzato da consumatori adulti e, spesso, di origine italiana e legati alla tradizione alimentare del Paese d’origine. Le percentuali cambiano radicalmente, invece, per il
Rojo Brillante a polpa soda: la varietà nata in Spagna, infatti, si presta particolarmente all’esportazione e
le quote di produzione, in questo caso, si distribuiscono equamente (circa il 50%) fra Italia ed estero.
Diamo i numeri
I Loti di Romagna possono contare su una presenza importante su QdC®, tenuto in considerazione che si tratta di una coltura fortemente concentrata nel territorio emiliano-romagnolo. Con
218 ettari registrati, distribuiti su 448 unità produttive, il caco tipo è la 77esima coltura per estensione sulla piattaforma di Image Line. Il podio dei territori è prevedibilmente raccolto in un raggio inferiore ai 100 km: sul gradino più alto si colloca
Ravenna con 284 appezzamenti registrati su QdC®, seguita da
Bologna con 83 e da
Forlì-Cesena con 35.