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Moria dei kiwi, la prevenzione è l’arma migliore
Dal 2012 la moria dei kiwi colpisce numerose aree di produzione in tutto il Paese. In attesa di un rimedio efficace, occorre riconoscere il problema fin dai primi sintomi e mettere in campo, preventivamente, corrette pratiche agronomiche
11 dicembre 2019
I primi rilevamenti della moria dei kiwi nel nostro Paese risalgono all’estate 2012 quando vennero identificate nel veronese le prime piante colpite: da quel momento, il fenomeno è andato intensificandosi progressivamente, colpendo gli areali produttivi della Pianura Padana, del Friuli, del Piemonte e del Centro Italia, raggiungendo dimensioni molto preoccupanti e danneggiando seriamente alcune specifiche zone di produzione.
Nel decennio 2010-2019, ad esempio, nel solo Piemonte sono stati persi oltre 1500 ettari di coltivazione di kiwi, con un’estirpazione totale pari al 25% degli impianti. La Regione Piemonte è arrivata addirittura a prevedere un contributo di 1,8 milioni di euro complessivi a parziale compensazione dei produttori che si sono impegnati a rimuovere le coltivazioni impegnandosi a non ripiantarle per i due anni successivi. Numeri minori in Friuli, dove la moria dei kiwi ha comunque inciso in percentuali discreti sulla produzione degli ultimi anni.
Andiamo insieme a QdC® - Quaderno di Campagna® alla scoperta di questo problema e dei possibili trattamenti che possono aiutare i produttori a ridurne il rischio di insorgenza.
Il sintomo più evidente, tuttavia, è a livello delle radici: compaiono marcescenze sempre più estese, a partire dalle radici assorbenti, seguite dalle macroradici e dall’intero apparato. La ricerca ha mostrato come siano colpite maggiormente le radici negli strati più profondi del terreno mentre quelle cresciute sopra il piano di campagna permettono comunque la sopravvivenza della pianta per alcuni mesi. Ma si tratta di una “speranza di vita” molto esigua: una pianta colpita dalla cosiddetta “moria del kiwi” generalmente non sopravvive più di due anni dalla comparsa dei sintomi.
Al momento non c’è certezza assoluta sulle cause scatenanti la moria del kiwi: le ricerche scientifiche individuano una possibile origine multifattoriale che vede coinvolta la presenza di agenti inquinanti nel terreno e nelle acque, le modalità di irrigazione, le condizioni climatiche, la presenza di funghi specifici nei terreni analizzati.
Su questo fronte, QdC® - Quaderno di Campagna® può essere un ottimo alleato del produttore, a partire dalla corretta gestione della fertilizzazione e dell’irrigazione: l’apporto di sostanza organica in grado di trasformarsi in humus stabile, una precisa irrigazione localizzata (con microjet o a goccia) strutturata sulle reali esigenze della pianta e sull’effettivo stato idrico del suolo, uniti all’apporto di microrganismi (funghi, batteri antagonisti, funghi micorrizici) hanno infatti mostrato un interessante tasso di efficacia nel prevenire l’insorgenza del problema.
Nel decennio 2010-2019, ad esempio, nel solo Piemonte sono stati persi oltre 1500 ettari di coltivazione di kiwi, con un’estirpazione totale pari al 25% degli impianti. La Regione Piemonte è arrivata addirittura a prevedere un contributo di 1,8 milioni di euro complessivi a parziale compensazione dei produttori che si sono impegnati a rimuovere le coltivazioni impegnandosi a non ripiantarle per i due anni successivi. Numeri minori in Friuli, dove la moria dei kiwi ha comunque inciso in percentuali discreti sulla produzione degli ultimi anni.
Andiamo insieme a QdC® - Quaderno di Campagna® alla scoperta di questo problema e dei possibili trattamenti che possono aiutare i produttori a ridurne il rischio di insorgenza.
Moria del kiwi: come si manifesta?
I primi sintomi della moria compaiono, di norma, tra la fine di giugno e l’inizio di luglio: al blocco dello sviluppo delle piante si associa un progressivo disseccamento. Le piante colpite possono anche germogliare e avviare una fioritura nella primavera successiva ma già nel mese di luglio si noterà un appassimento della chioma, la perdita delle foglie e il mancato sviluppo dei frutti.Il sintomo più evidente, tuttavia, è a livello delle radici: compaiono marcescenze sempre più estese, a partire dalle radici assorbenti, seguite dalle macroradici e dall’intero apparato. La ricerca ha mostrato come siano colpite maggiormente le radici negli strati più profondi del terreno mentre quelle cresciute sopra il piano di campagna permettono comunque la sopravvivenza della pianta per alcuni mesi. Ma si tratta di una “speranza di vita” molto esigua: una pianta colpita dalla cosiddetta “moria del kiwi” generalmente non sopravvive più di due anni dalla comparsa dei sintomi.
Al momento non c’è certezza assoluta sulle cause scatenanti la moria del kiwi: le ricerche scientifiche individuano una possibile origine multifattoriale che vede coinvolta la presenza di agenti inquinanti nel terreno e nelle acque, le modalità di irrigazione, le condizioni climatiche, la presenza di funghi specifici nei terreni analizzati.
Cosa si può fare?
Quello della moria del kiwi è un classico caso in cui si conferma l’antico detto “prevenire è meglio che curare”: una volta raggiunto lo stato avanzato della “malattia”, la pianta è infatti irrecuperabile. Gli studi hanno dimostrato, tuttavia, che l’applicazione di buone pratiche agronomiche permette di ridurre in maniera consistente l’insorgere del problema.Su questo fronte, QdC® - Quaderno di Campagna® può essere un ottimo alleato del produttore, a partire dalla corretta gestione della fertilizzazione e dell’irrigazione: l’apporto di sostanza organica in grado di trasformarsi in humus stabile, una precisa irrigazione localizzata (con microjet o a goccia) strutturata sulle reali esigenze della pianta e sull’effettivo stato idrico del suolo, uniti all’apporto di microrganismi (funghi, batteri antagonisti, funghi micorrizici) hanno infatti mostrato un interessante tasso di efficacia nel prevenire l’insorgenza del problema.