Interoperabilità in agricoltura: stato dell’arte e prospettive future

Interoperabilità in agricoltura: stato dell’arte e prospettive future

Dalla raccolta alla condivisione: l’interoperabilità è il vero potenziale dei dati agricoli.

8 settembre 2025

Mai come negli ultimi anni, il settore primario in generale e l’agricoltura nello specifico, ha conosciuto una trasformazione senza precedenti grazie a una potente alleata: la digitalizzazione. Questa nuova frontiera del progresso sembra non avere limiti: dalle sonde nel terreno ai satelliti in orbita, oggi ogni fase della produzione agricola, riesce a generare enormi quantità di dati che potrebbero rivoluzionare il modo in cui le aziende prendono decisioni e dimostrano la sostenibilità delle proprie pratiche.  

Sebbene questo scenario sembri davvero idilliaco, c’è un’incognita che non va sicuramente sottovalutata, ovvero la mancanza di interoperabilità tra sistemi, piattaforme e dispositivi. Non si tratta di un vezzo o di una necessità di una piccola fetta di agricoltori, ma di un’esigenza tecnica notevole che metterà alla prova il futuro dell’intero settore proprio per la sua complessità. Capiamo perché.  

 

Dati agricoli: una ricchezza ancora sottoutilizzata 

Ogni giorno le aziende agricole producono un “quantitativo industriale” di dati: mappe satellitari, rilevazioni meteo, sensori IoT in campo, registrazioni dei trattori e delle attrezzature, modelli previsionali di malattie, registrazione delle operazioni effettuate in campo, dei prodotti fitosanitari e dei fertilizzanti utilizzati e tanti altri dati di campo.   

Il problema non risiede in quanti dati vengono prodotti, ma in quanti di essi restino frammentati in ecosistemi chiusi: ogni software, ogni tool, ogni piattaforma utilizza formati e protocolli diversi, rendendo praticamente impossibile integrarle l’una con l’altra.  

Per questo motivo, spesso, l’agricoltore è costretto a reinserire manualmente le stesse informazioni in più applicativi, con una perdita di tempo che, per molti, diventa più un danno che un aiuto e che, di conseguenza, mette un freno all’adozione delle tecnologie digitali. 

È qui che entra in gioco il concetto di interoperabilità: un dato raccolto una volta deve poter essere riutilizzato ovunque. 

 

Dalla semplificazione alla gestione della complessità 

La vera sfida non è più semplificare la natura ma gestirne la complessità, proprio per questo motivo non possiamo pensare che l’agricoltura venga ridotta ad una serie di pacchetti standardizzati.  

Ogni contesto colturale, territoriale e aziendale è diverso e la digitalizzazione, se ben utilizzata, consente di affrontare questa complessità in modo dinamico, creando modelli che si adattano alle attività delle aziende agricole. 

In questo scenario, l’interoperabilità diventa la chiave per connettere sistemi diversi e generare innovazione per ricombinazione: un dato prodotto in campo può avere valore non solo per l’agricoltore, ma anche per i trasformatori, i consulenti, le istituzioni e persino il consumatore finale, ad esempio per certificare la tracciabilità di un prodotto. 

 

Il nodo della proprietà e della sovranità dei dati 

Uno dei punti cruciali su cui ci si interroga è quello che riguarda la sovranità dei dati agricoli. La domanda è legittima: a chi appartengono realmente i dati prodotti dalle aziende agricole? All’agricoltore, alla piattaforma che li raccoglie o al fornitore di input che li elabora? 

Fino a pochi anni fa la questione era nebulosa e il rischio che l’agricoltore perdesse il controllo dei propri dati una volta caricati su una piattaforma era davvero concreto.  

Fortunatamente, il Data Act europeo, in vigore dal 2024, cambia le regole: stabilisce che l’agricoltore è il proprietario dei propri dati e deve poterli trasferire facilmente da un sistema all’altro. Le piattaforme avranno il diritto di utilizzarli solo su base contrattuale e l’agricoltore potrà chiedere l’accesso in modo semplice e automatico, senza procedure burocratiche macchinose. 

Insomma, un passo decisivo per democratizzare l’uso dei dati e ridurre il cosiddetto vendor lock-in, ovvero la dipendenza forzata da una sola piattaforma. 

 

Italia: un laboratorio complesso 

Se in Olanda o Francia esistono già esempi avanzati di ecosistemi digitali condivisi, l’Italia si confronta con una complessità unica. Il nostro Paese conta circa 350 specie agrarie coltivate, ognuna con migliaia di varietà. A questo si aggiunge la frammentazione amministrativa: 19 regioni e 2 province autonome con normative e disciplinari differenti. In pratica, oltre 7.000 “tipi di agricoltura” da gestire. 

In questo contesto, la mancanza di standard comuni rende l’interoperabilità ancora più difficile: il melo in Trentino può essere codificato in un modo e in Puglia in un altro, generando confusione nei database e ostacolando la condivisione delle informazioni. 

 

I dataspace agricoli: la via europea 

Una delle soluzioni su cui si sta lavorando è proprio lo sviluppo di dataspace settoriali. Cosa sono? Degli ambienti digitali in cui i dati vengono raccolti, catalogati e resi accessibili secondo standard comuni. 

Ogni dato viene collegato al suo contesto (azienda, campo, macchina, pratica agricola) e può essere condiviso, previo consenso dell’agricoltore, con altri attori della filiera. 

Questo approccio consentirebbe di: 

  • favorire la tracciabilità e la certificazione della qualità, 
  • migliorare la pianificazione logistica e produttiva, 
  • distribuire meglio il valore lungo la filiera, 
  • creare nuove opportunità di business basate sui dati. 

Non a caso, la Commissione Europea sta investendo risorse significative per costruire ecosistemi digitali in cui ciascun attore conserva la propria autonomia, ma può dialogare con gli altri. 

 

Le barriere: interessi economici e modelli di business 

Nonostante i progressi normativi e tecnologici, resta un ostacolo fondamentale: a chi conviene davvero l’interoperabilità? Molti player di altri settori produttivi hanno costruito il loro valore proprio sulla chiusura dei dati e concedere interoperabilità di quelli agricoli significherebbe rinunciare a una posizione dominante. Per questo motivo mancano ancora modelli di business sostenibili che dimostrino come condividere i dati possa generare più valore rispetto a trattenerli. 

Allo stesso tempo, gli agricoltori non sempre hanno piena consapevolezza del valore dei loro dati.  

In Europa, per esempio, a differenza degli Stati Uniti, la sensibilità sul tema è ancora limitata: spesso si accettano software gratuiti senza riflettere sul costo nascosto rappresentato dalla perdita di controllo sui dati. 

 

Sicurezza e cyber risk 

Un altro tema emergente riguarda la sicurezza informatica. Più aumentano i dati e le connessioni digitali, più cresce il rischio di attacchi hacker. La Commissione Europea ha già lanciato l’allarme: i dati agricoli sono sensibili non solo per le aziende, ma anche per la stabilità alimentare complessiva. Il settore agricolo, con dispositivi spesso obsoleti e diffusi sul territorio, è particolarmente esposto e per questo sarà necessario destinare risorse specifiche alla cybersecurity, così come già avviene in altri comparti strategici. 

 
Interoperabilità: da utopia a realtà 

Diciamolo chiaramente: oggi l’interoperabilità può sembrare una chimera, frenata da frammentazioni, interessi economici e mancanza di standard. Eppure, il futuro è inevitabilmente interoperabile. 

Le ragioni sono chiare: 

  • le politiche europee lo rendono necessario per accedere ai finanziamenti (basti pensare ai 37 miliardi di euro della PAC vincolati a dati verificabili), 
  • la complessità dell’agricoltura italiana e mondiale richiede strumenti digitali per essere gestita, 
  • gli stessi consumatori chiedono trasparenza e tracciabilità, possibili solo con dati interoperabili. 

Il percorso sarà graduale e richiederà la collaborazione tra istituzioni, aziende tecnologiche e agricoltori. Ma nei prossimi anni, grazie al Data Act, ai dataspace e all’evoluzione degli standard, l’interoperabilità diventerà una realtà concreta. 

Non si tratta solo di tecnologia: è una questione di cultura, governance e fiducia. Solo restituendo agli agricoltori il pieno controllo dei loro dati si potrà costruire un ecosistema digitale davvero inclusivo, capace di generare valore per tutta la filiera. 

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