Agricoltura senza terra: come cambiano le regole fiscali e le tecniche di coltivazione

Agricoltura senza terra: come cambiano le regole fiscali e le tecniche di coltivazione

Le coltivazioni fuori suolo guadagnano riconoscimento legale e vantaggi fiscali: tra innovazione tecnologica e nuove sfide per il settore agricolo

26 maggio 2025

Spinta da esigenze ambientali, innovazioni tecnologiche e nuove opportunità di business, è innegabile che l’agricoltura stia attraversando una fase di profonda trasformazione in ogni sua declinazione.  
In questo continuo flusso di novità, una delle tendenze più interessanti e in rapida evoluzione è quella che riguarda lo stato delle coltivazioni fuori suolo, ovvero tutte quelle tipologie di colture che non necessitano di un terreno per essere produttive e a cui fanno capo quella idroponica, l’aeroponica, l’acquaponica e l’indoor farming.  
Queste tecniche rappresentano una rivoluzione non solo agronomica (perché eliminano la necessità di un appezzamento di terra di varie dimensioni per poter operare), ma anche fiscale: dal 2024, infatti, il legislatore ha introdotto una riforma che riconosce pienamente queste attività come agricole, con importanti conseguenze sul piano delle imposte. 

Cosa si intende per agricoltura senza terra?

Con il termine “agricoltura senza terra” (o “soilless”) si indica un insieme di tecniche che permettono la crescita delle piante senza l’uso diretto del suolo naturale. Come abbiamo detto in apertura, le principali declinazioni di questo approccio sono: 
•    L’agricoltura idroponica: dove le radici crescono in acqua arricchita con nutrienti. 
•    L’agricoltura aeroponica: dove le radici sono sospese nell’aria e nebulizzate con soluzioni nutritive. 
•    L’agricoltura acquaponica: un sistema integrato in cui le coltivazioni condividono l’ambiente con pesci, in un ecosistema chiuso. 
•    Coltivazione su substrati inerti: dove lana di roccia, fibra di cocco, perlite o vermiculite fungono da supporto, mentre i nutrienti vengono somministrati con la fertirrigazione. 
•    Indoor farming: ovvero coltivazioni in ambienti completamente chiusi, spesso su più piani, con illuminazione artificiale e controllo climatico totale. 
Queste tecniche garantiscono diversi vantaggi, sia in termini di risorse che in termine economiche: risparmio idrico, maggiore controllo sulle condizioni di crescita, produzione tutto l’anno, riduzione dell’uso di fitofarmaci (in ambienti sterili), oltre alla possibilità di coltivare in zone urbane o in ambienti prima inutilizzabili. 

Il nodo del riconoscimento fiscale

Fino al 2023, queste coltivazioni, pur essendo a tutti gli effetti attività agricola dal punto di vista tecnico, non venivano considerate tali sul piano fiscale. Perché? Il problema nasceva soprattutto dal legame giuridico tra “attività agricola” e utilizzo del suolo.  
Secondo questa interpretazione, solo chi coltivava nel terreno naturale poteva accedere al regime agevolato del reddito agrario, che permette di determinare le imposte sulla base delle rendite catastali, e non sui redditi reali. 
Con la riforma introdotta nel 2024, questo limite, per certi versi grave, è stato superato: il reddito agrario viene ora calcolato in base al ciclo biologico delle coltivazioni, a prescindere dall’uso del terreno naturale. In altre parole, se una coltura segue un ciclo vitale completo (germinazione, crescita e riproduzione), è considerata agricola anche se avviene in aria, acqua o substrati inerti. 
Questo cambio di paradigma è stato definito dagli esperti una “rivoluzione normativa paragonabile alla legge di orientamento del 2001”. 

Serre, D10 e nuove regole catastali

Un altro elemento centrale che viene introdotto con questa riforma è la possibilità di esercitare attività agricola anche all’interno di fabbricati accatastati come D10, ovvero fabbricati rurali strumentali.  
Già dal 2012 le serre ancorate al suolo dovevano essere accatastate come D10, ma fino al 2023 mancava una norma fiscale chiara che consentisse di dichiarare reddito agrario per chi coltivava in serra. 
Dal 2024 questo vuoto è stato finalmente colmato: le serre D10 sono espressamente incluse tra i fabbricati in cui è possibile svolgere attività agricola tassata in modo agevolato. Attenzione, però, perché la nuova norma prevede che il reddito agrario venga calcolato moltiplicando per 400% il valore catastale più alto della provincia, applicando così una tassazione potenzialmente più pesante rispetto al passato per chi già coltivava in serra. 

Chi ci guadagna e chi ci rimette? 

La riforma comporta effetti molto diversi a seconda dei casi: 
•    Florovivaisti e orticoltori tradizionali in serre D10 vedranno un aumento della base imponibile, anche fino a cinque volte rispetto al 2023, con un impatto fiscale significativo. 
•    Startup e aziende che praticano indoor farming in capannoni industriali dismessi potranno invece beneficiare di una “conversione” in azienda agricola, ottenendo così l’accesso a vantaggi fiscali prima inaccessibili. 
Un punto controverso riguarda proprio l’accatastamento: per beneficiare delle agevolazioni fiscali, le strutture utilizzate per l’indoor farming dovranno essere riclassificate come D10. Secondo gli esperti, questo passaggio sarà cruciale per garantire equità tra vecchie e nuove forme di coltivazione e per rendere queste attività sostenibili anche economicamente. 

Costi elevati e ostacoli tecnici 

Nonostante il riconoscimento fiscale, le coltivazioni fuori suolo non sono ancora diffuse su larga scala e i motivi principali sono vari.  
In primis, vanno menzionati gli elevati costi energetici che questo approccio richiede. L’illuminazione artificiale e i sistemi di climatizzazione necessari per l’indoor farming pesano fortemente sui bilanci, soprattutto nella fase di impostazione delle attività.  
A questo punto, allora, si collega anche quello legato agli importanti investimenti iniziali che derivano dall’acquisto di impianti idroponici, serre tecnologiche e strutture verticali.  
Infine, dobbiamo menzionare eventuali rischi sanitari perché in assenza di ambienti completamente sterili, il rischio di attacchi parassitari è maggiore, poiché mancano antagonisti naturali. 
La buona notizia, però, è che la tecnologia si sta evolvendo proprio per venire incontro a questi ostacoli: soluzioni come l’agrivoltaico (coperture fotovoltaiche che proteggono le colture dal sole e producono energia) o i vetri fotovoltaici potrebbero rendere più sostenibili le coltivazioni future. 

Georeferenziazione vs catasto: due mondi che si scontrano? 

Perché questo discorso diventa centrale nel mondo dell’agricoltura? Perché stiamo assistendo a uno sdoppiamento di personalità.  
Da un lato troviamo le nuove direttive europee che puntano ad una gestione georeferenziata delle attività agricole (con dati raccolti tramite sistemi satellitari e AI), mentre dall’altro abbiamo il fisco e le normative catastali che, invece, si basano ancora su logiche “analogiche”. 
 
Secondo gli esperti, per ora il catasto rimarrà centrale, soprattutto quando si parla di questioni fiscali, diritti di proprietà, accatastamenti e concessioni. Quello che è evidente, però, è che presto si dovrà trovare un punto di convergenza tra queste due visioni: una legata alla tradizione giuridica, l’altra alla tecnologia e alla precisione spaziale. 

L’agricoltura senza terra è oggi più che mai un’opportunità, ma richiede competenze, investimenti e attenzione agli aspetti normativi. La riforma fiscale del 2024 ha finalmente riconosciuto il valore di queste colture, ma ha anche imposto nuove regole che non vanno sottovalutate. 
Chi già opera nel settore dovrà adeguarsi a una tassazione più elevata, mentre chi intende investire nell’indoor farming potrà farlo con una maggiore sicurezza giuridica e fiscale. In entrambi i casi, il supporto di consulenti fiscali e tecnici qualificati sarà fondamentale per evitare errori e sfruttare appieno le potenzialità di un settore destinato a crescere. 

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